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La critica

E... come se si fosse collocata da un punto di vista che lei ritiene privilegiato per osservare il mondo e non ha più abbandonato la posizione.
La sua pittura, che si connota nei procedimenti con autentica originalità, ci propone un orizzonte che non cela i suoi confini pur lasciando intendere l'esistenza di altro che è escluso dall'immagine, ma vive, esiste; altro che consiste di suoni, luci, persino dell'elettronica e del digitale; ciò che lei ci mostra ha un perimetro determinato, conoscibile, praticabile, anche se non sempre sereno e vivibile. Talvolta aspra nei contenuti da cui si coglie un'ansia che pervade ogni singolo atto compositivo, sempre però morbida nelle soluzioni, accattivante nel risultato, padrona l'autrice di tratti, gesti, colori. E la proposta, certamente non nuova nella storia della pittura, dello spazio interno travestito da paesaggio, ma le possibilità di escursione in questo ambito sono talmente sconfinate che non è l'impossibile originalità che conta. Vale invece, nel presente caso come negli altri, il modo di percorrere questo spazio, il modo di rivestirlo con il colore, di consegnarlo allo sguardo sotto la specie di forme, di renderlo esplorabile con il pensiero e il sentimento dall'osservatore. Vale perchè l'ambigua serenità degli spazi selvosi rappresenta un percorso psicologico di chiunque, di tutti. Ci pare di vedere un po' il Durer dei suoi "appunti" dei viaggi alpini, un po', in certe anse di fiume e vegetazione, il Lorrain dei disegni della campagna romana. A testimoniare la continuità delle risposte nel corso della storia alle domande analoghe di rappresentazione della natura.
La vita animale è bandita dal circoscritto cosmo raffigurato da Franca Bellachioma, cosi come il mondo minerale si immagina quale insostituibile supporto alle presenze arboree, ai fragranti muschi, alle scorze. Nient'altro. Se non quello che si può figurare nella mente dietro le muraglie o i pinnacoli di vegetazione, oltre le piramidi di luce estenuata che assorbe il monocromo dominante, spesso verde veneto, antico, talvolta acido, stemperato nei languori di un crepuscolo che già ospita un improbabile astro.
La luna? Si offre come la cifra della femminilità della pittrice. Una sottolineatura sensuale che talvolta emerge come pro memoria dichiarandosi con sottile e morbida autenticità, riempiendo con decisione ma senza supponenza, quanto le è concesso del cielo.
Una musica d'organo lontana tra le immobili fronde, solenni l'una e le altre; talvolta un gonfiarsi di nubi che vorrebbero fare il verso, mutati i toni, alle masse della foresta; specchi d'acqua che riflettono la luce e si perdono secondo curve geometrie a consacrare lo spazio. La tentazione dell'interpretazione psicologica di questa anima d'artista seminuda è forte, ma trascina verso valori che all'arte sono accessori ed è opportuno quindi metterla da parte.
Franca Bellachioma è un acquisto recente alla pittura. Ha iniziato manipolando creta per produzioni in ceramica. Le resta nelle mani l'esigenza del gesto creativo, la necessità di stabilire un rapporto con la materia che usa, che non sia di semplice stesura del colore secondo metodi tradizionali. Infatti ricorre a strumenti diversi dal pennello per completare i suoi lavori, come il panno e la spugna che preme sul colore ancora fresco, o l'ondeggiamento del quadro posto in orizzontale su cui è poggiato pigmento molto diluito, a volta ritorna sui lavori finiti per pentimenti tardivi. Una ricerca della creazione attraverso l'insistenza del gesto per un rapporto più intenso con l'opera. Procedimento che risulta efficace per una persistenza del significato e del valore del gesto stesso nel lavoro compiuto. Un'arte che ha come obiettivo l'indagine di sè attraverso il mondo, tramite apparenze che conservano una propria conoscibilità, ma che contemporaneamente la travalicano per assumere altri significati; per mezzo di una successione di azioni che non si limitano a tracciare forme, a distribuire armonicamente colori, bensì tentano anche di essere pane integrante dell'opera come testimonianza del vissuto dell'autrice.
Una produzione questa di Franca Bellachioma che ci dà una misura dell'importanza che la pittura riveste per lei, che ci dice quanta compenetrazione, quanto scambio ci sia tra la sua vita e la sua arte, della convinzione con cui lavora, con cui affida parte della propria esistenza ai colori, alla tela, interpretando realtà che sono comuni a lei e a chi osserva la sua opera.

Prof. Enrico Sciamanna

 

Il paesaggio non di rado è il tramite per la trasfigurazione della propria insorgenza estetica e sponda esituale del proprio stato emotivo e culturale. Una distesa panica, un groviglio intrigante di un bosco, un rincorrersi di lattiginosi cirri, un precipitare di turbolenti acque tra le rocce, infinite spazialità rotte dalle luci e dalle ombre possono corporeizzare non solo una reale visualizzazione della flora e dell'ambiente, ma anche il motivo conduttore per la figurazione materica di stati d'animo. Per la verità la dissoluzione del proprio essere e del proprio sentirsi nell'immaginario misterioso di una fantastica rappresentazione paesaggistica, mentre da un lato può esplicitare l'esigenza "cachèe" di una comunicazione con i propri simili per mezzo di un arc-en-ciel decriptato, dall'altro il linguaggio espressivo della pittura materializzata con il colore, può dare corpo e visibilità alla poliedricità del "cogito, ergo sum ", anzi del 'pingo, ergo sum ". E Franca Bellachioma ha saputo trovare nella figurazione dei romantici boschi sufficientemente immersi in dinamici e valoriali silenzi e in atmosfere lunari-incantate, una ragione di emersione del proprio essere malinconica femminilità rispetto ad un mondo sguaiatamente scomposto e pragmaticamente e superficialmente solare. La pittura della giovane artista non è la risultanza dell'evasione; non è l'impegno per un linguaggio dell'effimero; non è la corporeizzazione dell'ovvio e del "deja vu"; al contrario è la ricerca seria e rigorosa di un'indagine pittorica con l'esclusivo intento di "devoiler" ciò ch’entro urge nella propria e altrui sensibilità e umanità Di sicuro la visitazione o rivisitazione della pittura della Bellachioma che non indulge al pressappochismo concettuale e alla faciloneria formale e strumentale richiede un'osservazione non frettolosa per poter cogliere tra le ombre e le luci di affatati sentieri nel bosco, in paesaggi che si smisurano in lontananza, in squarci di luci e di ombre contrastive, in panorami misterici non solo l'ascendenza di una pittura psicologica, ma anche l'esigenza di percepire, anche con i sensi, l'Essere dell'immanenza. Il quadro dell'artista non propone la elementarità espressiva; anzi dispone un risultato pittorico complesso e profondo che merita attenzione e rispetto.

Prof. Giovanni Zavarella

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